Questo blog nasce con l'umile intento di commentare alcune delle tante notizie che interessano l'infinito mondo del settore immobiliare.



domenica 29 luglio 2012

Proposta semiseria per combattere la crisi: "E se tornassimo alla casa con l'orto e le galline?"

Lo so, il contenuto di questo post sarà quello di una discussione da bar. Avete presente, quando dopo l'ennesimo bicchiere, qualcuno tira fuori la bacchetta magica e "spara" la soluzione a tutti i problemi. Questo è un po' quello che realmente mi è successo. Dopo l'ennesima discussione sulla crisi mi sono fermato a pensare: "Sì ma se il problema è avere i soldi per comperare da mangiare allora tanto vale prodursi (almeno in parte) il cibo da soli". Per quanto non abbia ancora tutti i capelli bianchi, ricordo che da piccolo i miei genitori avevano l'orto e le galline. Nella zona in cui sono cresciuto era una cosa abbastanza normale. Poi ci siamo dovuti avvicinare alla città e siamo andati a vivere in condominio. I miei hanno dovuto rinunciare alle galline (all'orto no!). Col passare del tempo anch'io mi sono comperato il mio bell'appartamentino rigorosamente senza orto, anche se vivo praticamente in mezzo ai campi. Come me molte altre persone e famiglie hanno dovuto abbandonare quell'attività che permette un sostentamento minimo ma pur sempre significativo. Significativo soprattutto in termini di valori. Non voglio assolutamente fare "la morale". Certo che in tempi di spread, bond e bla bla bla, sono in pochi quelli che sanno ancora zappare la terra e far crescere una zucchina. Mai come in questo periodo penso "all'attaccamento alla terra". Negli ultimi anni ci hanno fatto credere che tutto si può comprare, non serve sporcarsi le mani. Le energie andavano indirizzate in attività intellettuali (che poi magari ci avrebbero portato all'esaurimento nervoso). E allora tutti a lavorare dietro la scrivania, col computer e i software!! Ma chi produce la zucchina? Forse questa crisi ci farà fare un passo indietro o meglio, ci spingerà a riprendere quei comportamenti che fanno già parte del nostro DNA. Quali ripercussioni per il mercato immobiliare? (ed è qui che volevo arrivare!) Forse meno appartamenti in condominio e più casette singole con un giardino da utilizzare in parte ad orto. Forse le famiglie non cercheranno la città a tutti i costi. Forse, rimanendo o ritornando nei paesi dove i prezzi sono anche più accessibili, sarà possibile riprendere un sano contatto con la terra. Con questo non voglio dire che in futuro ritorneremo tutti a fare gli agricoltori e neppure che basti coltivare i pomodori per superare una crisi globale... Forse però nel recente passato la situazione ci è sfuggita un po' di mano e abbiamo abbandonato troppo presto l'arte del fare e del fare sporcandosi le mani.
Ok, ho messo nero su bianco il mio pensiero. Leggetelo con un sorriso. Manca poco alle ferie (almeno alle mie) e nessuno ha voglia di discorsi troppo pesanti.

sabato 30 giugno 2012

Case donate difficili da vendere.

Anche tra i colleghi più preparati nell'ambito delle compravendite noto un certo imbarazzo nell'affrontare il tema della provenienza di un immobile da donazione. L'articolo comparso recentemente su Casa24 Plus de Il Sole 24Ore spiega in modo semplice quali sono i rischi e soprattutto quali sono le tempistiche da tenere in considerazione. Qui di seguito un estratto:


"Donazione, maneggiare con cautela. La devoluzione dei propri beni, e degli immobili in particolare, è tema ampio e complesso. Dal calcolo al rispetto delle quote, dai casi di nullità a quelli di revoca, dai problemi che toccano le cosiddette famiglie allargate (con donazioni a soggetti tecnicamente non legittimati) o che riguardano la rivendita dell'abitazione ricevuta in "regalo", sono molti gli aspetti a cui fare attenzione.

I dati Istat raccontano che tra il 2000 e il 2009 in Italia le donazioni sono aumentate del 57,5 per cento. E oltre il doppio (+103,8%) quelle di immobili a uso abitativo e accessori, che sono la metà del totale: in media 161,3 donazioni di case ogni 100mila abitanti. «Un trend – spiega Gabriele Noto, consigliere nazionale del Notariato – sorretto da tre ragioni cardine: il paese invecchia, la proprietà dell'abitazione è una delle caratteristiche principali, le famiglie cercano di risparmiare». Proprio questa apprensione fiscale (leggi: Imu) sta spingendo adesso i proprietari a considerare ancor più l'opportunità di anticipare la divisione del loro patrimonio. 

Nell'intricato campo della donazione, i notai sono gli unici professionisti in grado di garantire nella scelta e prevenire a monte le cause di contenzioso. Perché, qui un primo nodo, la donazione non può essere lo strumento per privarsi del patrimonio e lasciare, alla propria morte, qualcuno dei legittimari (figli, coniugi, ascendenti del defunto) senza la quota minima che gli spetta. Questi potrebbe infatti far valere il proprio diritto tramite azione giudiziaria (di riduzione), che si prescrive in 10 anni (a partire dalla data di apertura della successione), chiedendo l'intera quota di legittima. Oppure, se coniuge o parente in linea diretta del donante, potrebbe opporsi alla donazione.
Se il donatario ha ceduto a terzi gli immobili donati e non ci sono altri beni sui quali far valere il proprio diritto, il legittimario può chiedere la restituzione del bene al successivo acquirente. Che può comunque liberarsi dall'obbligo pagando l'equivalente in denaro. In base alla legge 80/2005 l'azione di restituzione può essere intrapresa solo entro 20 anni dalla trascrizione della donazione. «La commerciabilità dei beni provenienti da donazioni presenta aspetti delicati.

Quando ci si prepara a comprare un immobile, bisogna dunque verificare innanzitutto se il venditore l'abbia acquisito tramite donazione o se nella "catena" dei trasferimenti che precedono l'acquisto sia stata effettuata una donazione. Solo trascorsi 20 anni dalla trascrizione, l'acquirente di un immobile donato può dirsi esente da rischi. Tra i quali rientra anche la possibilità che arrivi una revoca per la sopravvenienza di un figlio del donante (oppure l'esistenza di un figlio ignorato).
Si tratta però sempre, ricordiamolo, di rischi potenziali. Il semplice fatto che un immobile provenga da donazione non significa che ci sia un pericolo effettivo di rivendicazione.
E la giurisprudenza considera ingiustificato il rifiuto, da parte di colui che si impegna ad acquistare, di stipulare il contratto definitivo di compravendita, se il motivo è la provenienza a titolo di donazione dell'immobile oggetto del preliminare."

Consiglio quindi di dare un occhio alle FAQ relative.

Richiamo per ultimo le tematiche relative alla costituzione di ipoteca su beni interessati da donazione e sulle cautele pretese dagli istituti di credito: intervento in atto di eventuali legittimari, acquisizione di garanzie fidejussorie da  parte degli stessi...


sabato 12 maggio 2012

La casa: un bene accessibile a solo il 50% della popolazione.

In linea con il contenuto del mio ultimo post vi propongo l'articolo pubblicato dall'ANSA in esito al rapporto immobiliare redatto dall'Abi. Non stento a credere che il prezzo medio sia quello indicato ossia circa 160.000 euro, pari al prezzo di un bicamere nuovo con autorimessa in una periferia di una città di medie dimensioni. Una riflessione che ne consegue è la seguente. Cosa succede se al predetto prezzo aggiungiamo i costi per ottenere prestazioni energetiche elevate? Grossolanamente mi pare aver capito che per le strutture più performanti il prezzo può aumentare anche del 25%. Chi paga questa differenza? Non siamo qua a discutere se il bilancio energetico sui 20 anni sia più o meno favorevole, se il risparmio sulle bollette compensa il costo iniziale... Siamo qua a dire che già in queste condizioni "la casa" è un bene accessibile a solo il 50% della popolazione. E quindi?  

sabato 21 aprile 2012

Case a basso costo. Una possibilità per il rilancio del settore delle costruzioni.

C'è un gran parlare di case ad alta efficienza energetica, Classe A, Classe B,... e via tutti di certificazioni anche per vendere la cuccia del cane. C'è un gran parlare di domotica, di tapparelle che si alzano e si abbassano da sole, ... e via di impianti elettrici di ultima generazione. Tutto lascia presagire che la casa del futuro sarà un prodotto altamente sofisticato, più vicino a una macchina di Formula 1 che all'alloggio in cui quelli della nostra generazione sono nati e cresciuti. Questo ha diverse conseguenze. Così come avviene per i telefoni cellulari anche gli immobili subiranno un sempre più un rapido invecchiamento tecnologico, tanto da non renderli più beni rifugio, anzi... il cellulare vecchio è da buttare!! Così  come avviene per i telefoni cellulari anche gli immobili più evoluti saranno quelli più costosi. Questo è logico. Ma se la tecnologia diventa eccessiva e "obbligatoria" c'è il rischio che si concretizzi nel breve un'emergenza abitativa preoccupante. Vista la stretta del credito e l'impossibilità accantonare un dignitoso risparmio, mi chiedo se le sempre più ampie fasce di popolazione a basso/medio reddito potranno in futuro (già oggi?) permettersi l'acquisto di una casa nuova. Da qui il mio dubbio: "E se la sfida del futuro fosse quella di costruire abitazioni a basso costo ma ad alte prestazioni?" Se i dati sono quelli riportati nell'articolo comparso nello speciale allegato a Edilizia e Territorio de Il Sole 24 Ore, il margine per le imprese va ricercato all'interno delle grandi quantità che permettono di abbassare i costi. A mio avviso è questa una delle linee che il Governo dovrebbe favorire per il rilancio del settore delle costruzioni. Questa è una sfida anche per i professionisti del settore; la ricerca e l'utilizzo di nuovi materiali e lo studio di nuove scelte progettuali saranno argomenti di sempre più vivo interesse. L'approccio futuro dovrà essere però quello dell'abbattimento dei costi. La casa deve tornare a essere un bene accessibile.

domenica 19 febbraio 2012

Casa e catasto, un algoritmo per le rendite ?

Riporto qui di seguito la sintesi di un articolo di Gino Pagliuca pubblicato sul Corriere della Sera di oggi:


"Le tasse sulla casa? Le deciderà un algoritmo. Un termine inquietante di per sé ma che quando è legato al Fisco preoccupa ancora di più. Questo però è lo scenario che si prospetta se l'esecutivo, come sembra probabile, inserirà nel pacchetto sulle semplificazioni fiscali della prossima settimana anche la delega per il riordino del Catasto. Preannunciata nella conferenza stampa di fine anno dal presidente del Consiglio, la modifica si propone di rendere più equi i criteri di ripartizione tra contribuenti dell'imposizione fiscale. La strada identificata consisterebbe nel legare gli imponibili ai valori di mercato, approfittando del fatto che l'Agenzia del territorio monitora ogni sei mesi l'andamento dei prezzi di case, uffici, negozi e laboratori in tutta Italia.

Che vi sia un problema di equità nella definizione degli estimi è innegabile: i dati sulla cui base si calcolano le imposte risentono del tempo (sono stati definiti nel 1992, in previsione della nascita dell'Ici) e hanno un peccato originale: il dato base di estimo è dato dal reddito (teorico) ricavabile dalla locazione di un immobile; non importa se il proprietario poi quel reddito non lo ricava perché il suo guadagno è costituito dall'affitto risparmiato... Non sfugge alla regola nemmeno la neonata Imu: la rendita base per il calcolo dell'imponibile è sempre quella del 1992, rivalutata del 5% e moltiplicata per 160 (anziché per 100 come avveniva con l'Ici).
Con tutte le riserve dovute al fatto che si tratta di medie all'ingrosso, una semplice analisi su dati rilasciati dall'Agenzia del territorio mostra i termini della questione: il valore di mercato della casa tipo in Italia è più alto del 267% rispetto al valore catastale del medesimo appartamento. A Napoli e a Palermo il gap è addirittura attorno al 400% (o per dir la stessa cosa in altri termini: per il Fisco una casa vale un quinto rispetto al mercato), a Milano la differenza è del 172,7%, a Roma del 252%...
Sarà quindi identificata una procedura matematica per ricondurre i valori fiscali attuali a quelli di mercato redistribuendo i carichi tributari. Per illustrare il concetto torniamo alla nostra tabella delle città: abbiamo visto che ai fini Imu in Italia la differenza media è del 128%, a Milano il valore scende al 70% e a Napoli sale al 212%. Significa che a Milano l'imponibile Imu dovrebbe scendere e a Napoli salire per arrivare in entrambi i casi a far pagare le tasse che si pagherebbero oggi con un gap del 128% rispetto al mercato. Già così l'operazione si prospetta cervellotica ma si complica ancora di più se si considera che all'interno delle singole realtà urbane ci sono spesso nelle zone centrali differenze superiori anche il 500% tra i valori reali e quelli che il Fisco computa attualmente mentre nelle periferie non è raro il caso in cui catasto e mercato vanno a braccetto. Per finire, la ciliegina sulla torta: i valori di mercato indicati dall'Agenzia del territorio non sono ancora davvero attendibili. Basta guardare la tabellina dei valori medi per dimostrarlo: Milano costa in media meno di Bologna, Firenze, Genova, o Napoli."

La prima cosa che mi è venuta in mente leggendo questo articolo è "ma non dovevamo semplificare?". Concordo sulla necessità di allineare il valore catastale a quello di mercato. Questo per due motivi principali:  equità e trasparenza. Banalmente ho pensato che per determinare il valore catastale una soluzione potrebbe essere quella di legare il costo di costruzione medio (deprezzato per la vetustà) all'incidenza del terreno (tale dato può essere desunto dai valori delle aree edificabili indicato da ciascun comune).